ARTA EDUCATIVA DEI VALORI
Lo sport, di per sé, non educa automaticamente.
Praticare un’attività sportiva, e in particolare giocare a calcio, non coincide sempre con la possibilità di vivere un’esperienza formativa. Spesso queste attività, se non guidate e indirizzate, possono diventare per un ragazzo l’occasione per sviluppare un’errata considerazione di sé e degli altri, favorendo l’emulazione di modelli adulti non positivi. È necessario che i ragazzi siano aiutati a gestire un’aspettativa di successo e risultati adeguata alla loro età, e che l’intervento formativo non si limiti al semplice richiamo formale di alcune norme di comportamento.
Affinché lo sport favorisca il pieno sviluppo del ragazzo, occorre che di fronte a lui ci sia un adulto consapevole della propria responsabilità educativa.
L’allenatore deve essere consapevole che ogni suo gesto non è mai neutro. Il ragazzo osserva costantemente come l’adulto risponde alla realtà, quali sono le ragioni che lo muovono, i criteri che adotta nell’affrontare le varie situazioni. Nel rapporto educativo non c’è mai un momento in cui sia concessa una sospensione di questa responsabilità. I ragazzi percepiscono chiaramente se verso di loro c’è solo un atteggiamento di pretesa o una reale attenzione alla loro persona, una paziente disponibilità ad accompagnarli nel percorso verso la loro piena realizzazione. Solo di fronte a un adulto così, a un allenatore così, la libertà dei ragazzi è stimolata a prendere posizione e a crescere nella verifica di ciò che più corrisponde al proprio desiderio di bene.
Per crescere come persone è necessario fare un’esperienza di convivenza vera e di amicizia
Per imparare a giocare a calcio, è necessario avere altre persone accanto: amici, compagni e persino avversari! Per diventare calciatori non basta conoscere tutti i gesti e le azioni che sono alla base del gioco, ma occorre anche diventare persone mature, intelligenti e capaci di stare insieme agli altri. Senza gli altri—genitori, insegnanti, allenatori e amici—non solo non saremmo mai cresciuti, ma non potremmo nemmeno continuare a diventare più grandi e ad apprendere tutto ciò che ci interessa, compresi i segreti del calcio.
La mentalità oggi dominante sostiene che ognuno ha in sé le condizioni per raggiungere il successo, per cui chi vuole diventare un grande calciatore dovrebbe fare leva solo sulle proprie doti e capacità, quasi che la presenza degli altri fosse un fattore eliminabile e secondario, se non addirittura un ostacolo. Invece, è innegabile che le nostre potenzialità possono crescere e svilupparsi solo grazie a rapporti, relazioni, sollecitazioni esterne, errori, correzioni, gioco di squadra, aiuto dei compagni e guida di persone adulte.
Che lo sport sia strumento educativo significa avere consapevolezza del suo valore di analogia con la vita
Esso è un allenamento alla vita poiché introduce a situazioni molto simili, ma soprattutto fa comprendere più facilmente che il metodo per raggiungere ciò che si vuole conoscere e imparare è determinato dall’oggetto stesso che si vuole conoscere (così un ragazzo capisce che per diventare bravo a giocare non basta guardare il calcio in TV o andare allo stadio, ma deve fare la fatica di allenarsi, correggersi, apprendere la tecnica). Sollecita il ragazzo a confrontarsi con la realtà, con l’impegno necessario per svolgere una determinata attività, a imparare le condizioni generali di un lavoro, la precisione nei particolari, il rispetto delle persone che sono con lui, la soddisfazione nel raggiungere risultati grazie a un’applicazione costante. Fa parte dell’educazione introdurre una serietà di fronte alla realtà che un impegno comporta.
Favorisce una prima riflessione su di sé: i ragazzi sperimentano di possedere certe capacità atletiche e doti particolari, insieme a limiti e qualità diverse dai propri compagni. Possono iniziare a riconoscere che questo patrimonio è qualcosa di “dato”, di “unico”, di “irripetibile” e in nessun caso identico a qualcun altro. Si introduce così la considerazione che la realtà è sempre diversa rispetto a qualsiasi programma o previsione, avendo in sé un aspetto di imprevedibilità che la rende sfidante, ma sempre affascinante. Il momento della competizione sportiva, l’esito di una partita di calcio, ne sono un esempio evidente. Anche se un allenatore e la sua squadra preparano una gara in modo meticoloso, essa sfuggirà sempre, nel bene e nel male, al controllo totale della loro azione. Questo è il motivo di tutte le ansie, le attese, le delusioni, ma anche le euforie e le gioie che circondano qualsiasi evento sportivo; ed è la ragione per cui ogni gara, anche quella dal risultato più prevedibile, deve essere comunque giocata.
Che lo sport sia strumento formativo significa che esso può essere utilizzato per favorire il pieno sviluppo di tutte le dimensioni della persona
La dimensione fisico-motoria:
- Sviluppo della consapevolezza del proprio schema corporeo;
- Sviluppo delle abilità motorie di base;
- Sviluppo delle capacità percettivo-coordinative (spazio, tempo, lateralizzazione, equilibrio).
La dimensione intellettivo-cognitiva:
- Sviluppo della capacità di analisi e sintesi nella soluzione di problemi;
- Rafforzamento degli apprendimenti attraverso l’esperienza concreta.
La dimensione affettivo-relazionale:
- Sviluppo delle capacità collaborative;
- Sviluppo della capacità di assumere compiti e ruoli; rispetto di regole predefinite;
- Fiducia e rispetto negli altri.
Questo è molto importante perché, di solito, nello sport i ragazzi vengono trattati e considerati solo per il particolare su cui sono coinvolti. Invece, attraverso un aspetto specifico si incontra tutta la persona. Lo sport permette di vedere i ragazzi in una situazione diversa dal solito, cogliendo aspetti del loro carattere che altri non possono vedere. Questa opportunità permette di valorizzare anche il sacrificio che lo sport richiede, perché per motivare veramente un sacrificio nello sport bisogna evidenziare il legame tra il sacrificio e la convenienza di una vita più umana, non solo tra il sacrificio e un risultato sportivo.
Così, per esempio, stare in panchina significa riconoscere che il valore della persona non risiede solo in ciò che riesce a fare, ma in ciò a cui appartiene. Se i ragazzi crescono nella loro umanità, sicuramente riusciranno meglio anche nello sport. Ed è questa modalità—fatta di impegno, sacrificio, attenzione a tutti i particolari e disponibilità a correggersi—che rimane come fattore di crescita della persona. La vera vittoria sta nel percorso compiuto per raggiungere un risultato: questo rimane per tutta la vita. Vincere è sfruttare bene i talenti, riconoscere le doti che abbiamo ricevuto. Perdere è capire quali talenti abbiamo e quali capacità dobbiamo ancora scoprire. Se do il massimo e perdo, non è una sconfitta senza valore: sono chiamato a scoprire quali sono le mie doti.